Hiša Franko, e il sincretismo seducente di Ana Roš
L'Isonzo purissimo, lì di fianco, e Kobarid poco lontano. Irresistibile la tentazione di ricordare che di qua dal confine fa Caporetto, e il mulinello dei luoghi comuni s'avvita nelle pagine dei sussidiari delle elementari. E invece è la Casa di Ana Roš che ci interessa raccontare, un formidabile esempio di progetto in evoluzione continua, punto d'unione tra il qui e il sempre che non può che sedurre chi l'affronta. Un ristorante e un romanzo: o forse il romanzo di un ristorante che prendendo le mosse dal luogo ha esteso i suoi orizzonti ben oltre il confine, i confini.
Continui a stupirti mentre al tavolo si susseguono interpreti cosmopoliti che in inglese fluente ma di chiaro accento ti raccontano il viaggio di Casa Franko: un itinerario attorno al mondo, anche se il mondo è chiuso in una stanza.
Nell'itinerario che ti appresti ad affrontare non attenderti riferimenti certi: il tratto caratterizzante della creatività della cuoca slovena è proprio questa capacità di svariare nel rigore. Nel luminoso acquario della sala da pranzo che si protende con pareti di cristallo nel giardino, la roggia gorgogliante a fianco, avrai un susseguirsi di miniature portate al tavolo in divise gioiose e sorrisi smisurati. Amerai perdere la bussola nei continui rimandi a un tutt'altrove che ritorna, scompare, rinasce. Sincretismo: nei piatti e nei bicchieri, allorquando non ci si perita di saltabeccare da un Kebab di carota ad un injeri di farina d'orzo, farcito di ritagli di carne, celebrazione di un approccio circolare all'ingrediente che non è momento ma è scuola.
Non temono le fermentazioni i vegetali, non c'è timidezza nei pesci marinati, non c'è maniera nelle carni alla fiamma: così come non c'è lezio nei piatti composti con cura da amanuensi. Diademi in cui il meno non è il minimo, in cui la sottrazione è vantaggio, la riduzione un acceleratore di particelle di gusto. La patata cotta "nel fieno d'agosto" e il sedano rapa, la trota con le sue uova, i cereali locali e le rimebranze più esotiche, il tutto rimescolato in un vortice perfettamente lineare, un ossimoro che nega se stesso e lo riproduce ad ogni portata. Gli intervalli che non sono soluzione di continuità ma solo pause nella melodia, sfumature microtonali, acciaccature.
La sensibilità che consente alla truppa di cucina di Casa Franco di tenere alta la tensione a lungo, tra piatti complessi e quarantamila ingredienti che poi all'apparenza paiono infilati come una terzina di rock'n'roll è mirabile. L'intensità della partitura è memorabile. La sintesi tra il qui e il sempre è ubriacante. Lo chiamano sincretismo, e per l'innamorato non c'è dubbio: il travolgente esito della gentile tempesta di suggestioni è scolpito nel granito pur friabile della memoria. L'ultimo gesto è un sospiro, giusto sulla soglia, all'uscita.
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