Il Belvedere e la Macchina del Tempo
Verso la collina e il primo Appennino, sali repentinamente e passi Cà Bertacchi, e poi Regnano e le sue salse: fanghi freddi che ribollono di gas vulcanici. Passi la Fonte, che per una volta non è “dell’amore”. Passi qualche improvviso tornante, di quelli che in bici ti fanno respirare e in moto sacramentare, cercando la prima marcia. In mezzo alla Frazione di San Giovanni di Querciola, 512mslm, trovi il Ristorante Belvedere, appena discosto dalla strada. Per la precisione, località Prediera.
Arrampicato su una laterale, t’accoglie con una parata di geranei e un parcheggio immenso, che fa a pensare a grandi affluenze: sta qui dal 1968, con la sua gestione in famiglia, con le sue tre camere, la sua vocazione di servizio e di locanda oggi vagamente inattuale.
Salgo i tre gradini pensando al viandante che dorme al Belvedere: mi smarrisco, e provo un senso di calore intenso e un lampo di luce accecante mi stordisce per un instante, mentre varco la soglia. Una signora con un sorriso largo come un campo da tennis mi saluta e mi dice Prego prego, accomodatevi pure. Niente sosta sulla soglia in attesa dell’indicazione del tavolo. Niente richiesta della prenotazione, della carta d’identità, della dichiarazione dei redditi, del certificato di nascita. Cammino nella grande sala da pranzo completamente apparecchiata, verso la terrazza con altri geranei e gente seduta ai tavoli. Sui candidi tovagliati: la pila dei piatti Ginori da mezzo chilo - piano fondina e piattino - con il tovagliolo ripiegato e pronto. Come nei matrimoni degli anni ’70. Due scalfarotti di vetro spesso, la gamba grossa come il mio pollice, rivoltati: come negli anni ’70. La formaggiera, piena: come negli anni ’70. La bustina di grissini torinesi. Proprio come negli anni ’70. L’Oste mi guarda, lo guardo, ci guardiamo. Poi fa un gesto che pare lo swing su un campo da 18 buche, e dice Dove vuole. Come succedeva negli anni ’70.
Mi siedo, e dopo qualche minuto l’Oste arriva e, deciso, fa Di primo posso avere. Mi racconta di passatelli, di cappelletti, di lasagne, di un turbine di tortelli. Perplimo, che sono abituato a lunghe meditazioni su immense Minute delle Vivande. Poi salto il fosso e ordino lasagna e tortelli gorgonzola e noci. Chiedo lambrusco, e sempre a voce mi parla di tre o quattro etichette di gran vaglia e largo consumo. Ne prendo una vicina di casa.
Mentre l’Oste si eclissa bonariamente verso le cucine una domanda sorge spontanea: ma i prezzi? Mi guardo attorno, e i varii avventori manco ci fanno un plissè. Nè la comitiva di cacciatori-calciatori, evidentemente di casa. Nè la coppia presqu’ottuagenaria. Nè il tavolo da quattro che sta spazzolando una zuppiera di cappelletti in brodo come a Natale.
È solo allora che mi rendo conto che è successo qualcosa, mentre entravo il Ristorante Belvedere. Ho attraversato un cancello SpazioTemporale. Una Macchina del Tempo. Controllo il telefono, non c’è campo, e tutti guardano con sospetto la mia macchina fotografica e la lucetta portatile. Una macchina del tempo che mi ha portato a cena nel 1974, quando non c’erano storie di piattini e di tost divisivi, dove non c’era trippa visor e nemmeno Mastercuoco. C’era altresì un rapporto fiduciario con l’Oste, che sapevi che era lì per fare il suo mestiere - incluso un liro di guadagno - e che ti avrebbe chiesto il giusto conto. Una relazione paritaria, che portava ad una conclusione ad alta probabilità: un conto corretto. Se non lo era - o tale non lo ritenevi - non tornavi più, riga.
Allora finalmente mi tranquillizzo, e mi appropinquo alla mia cena del '74: una lasagna Noi le facciamo bianche, con un diluvio di besciamella e un coraggioso ragù di carne. Formaggio - Parmigiano Reggiano - grattugiato a perdifiato. Una porzione che pare la pagina di un giornale, del 1974, non quei fazzoletti dell’oggi. Opulenta. E poi i tortelli, fatti a mano, tamponati al burro: pasta all’uovo piuttosto sottile, bordi a zigzag, le irregolarità della realizzazione manuale. Mentre lavoro alacremente di mandibola l’Oste si materializza: Di secondo.... In onta a ogni regola del servizio impinguinato, ma devoto all'attenzione al cliente, interrompe il lauto pasto, anzi: avvia una conversazione. Discutiamo: ha funghi, e sarà funghi fritti e faraona arrosto, al tegame, come piace a reggemiglia. Chiedo pietà e porzioni umane, e l’Oste sorride di gusto, indicando il piatto della lasagna. Dice in dialetto reggemigliano “la gh’èe scapèda”. Le è scappata. Nel gesto e nella voce e nello sguardo c’è la complicità e il gusto dell’ospitalità e la semplicità del dire e del fare.
Atterrano i funghi, e sono tra i migliori mai assaggiati. La carta gialla è appena ombreggiata d’unto, la crosticina è leggerissima, l’umidità del fungo ridotta ma non cancellata. Poco sale. Deliziosi.
La faraona è proprio una faraona del 1974, fedele alla linea degli arrosti cotonati della nostra terra. Buoni i sapori, però. Tra i dolci: sempre a voce, la torta di tagliatelle - vedremo di là i grandi cabarè di tagliatelle pronte per le torte del giorno dopo - il salame di cioccolato.
Si materializza una caraffina, tutta sudata, e dei bicchierini piccoli piccoli. “Il nocino fatto da noi” dice l’Oste. Nel ’74 è uso comune finire il pasto al ristorante con il nocino, qui da noi. E io ho sempre avuto paura dei liquori “fattincasa”. Invece: naso botanico, di alloro e rosmarino, sorso polputo con le dolcezze travolte da una bella folgorazione alcolica. Forse, il miglior nocino mai assaggiato. Bevo e ribevo, e l’amo.
Mi allungo verso il banco all’ingresso, antistante una saletta con qualche tavolo, c’è qualcuno seduto nella penombra, ha preferito evitare la brezza serotina. Varco la soglia, e avverto di nuovo quella specie di pizzicorino. Chiedo il conto: 67, per due. Chiedo con voce tremebonda: “Milalire?” L’oste mi guarda di nuovo, sornione. Euri, signore, euri.
Ristorante Belvedere dal 1968
Via Galileo Galilei 1 - San Giovanni Di Querciola,
Prediera - 42030 Viano (RE)
Tel. 0522 847130 - Cel. 339 8135703
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