Inamovibile Arnaldo
Quando vedo comparire il suo nome sul display sobbalzo sempre, come quando entrava il preside in classe. Il druido di Acuto mi mette quel filo di soggezione e di riverenza che riservo ai massimi. Dice che passa di qui e che avrebbe delle cose "folli" da dirmi, se mi va di cenare con lui e con Giovanni da Alrnaldo, a Rubiera. Salvo, mi va. Mi va sempre, ti vedo ogni sei anni, capirai se non mi va.
Li raggiungo sottosera sulla Rombante, lui di barba e d'occhiale, e Giovanni che giganteggia di tracimante gioventù. Parleremo di moto e di trattorie.
Salvatore Tassa ama Arnaldo Clinica Gastronomica da trent'anni, e da trent'anni la considera una tappa fissa dei suoi spostamenti nordici. Ne ama l'inamovibile classe, i movimenti ripetuti nella perfezione della liturgia, non ostanti le incombenti, orribili paratie di plexiglass ormai indispensabili. Perchè Arnaldo è il regno della larghezza dei tempi e del movimento a carrello. Carrelo degli antipasti, con il prosciutto da tagliare a coltello che troneggia; carrello dei bolliti, un must-a-have che non ci penso nemmeno un istante a ordinare. Erbazzoni di stampo classico, le mostarde, una delle quali più che piccante è un tentato omicidio; il purè, sfavillante di normalità. I cappelletti in brodo nella zuppiera, Giovanni fa cenno con la testa che va bene. Il carrello dei dolci: la zuppa inglese è quasi un'antifona: lei, zuppa inglese e basta. Con tutti gli Amba Aradam al loro posto, spadella via dal carrelo in porzione megalitica.
Di Arnaldo, nelle molte volte che lo frequentai, trovai quasi poetica questa inossidabile prevedibilità che si trasforma in valore - per chi l'ama - e in iterazione per chi la stigmatizza. Tutto è come ti aspetti che sia, e le promesse sono puntualmente mantenute. Monumento o testimonianza?
Ci sgomitiamo fraternamente sotto il portico di Arnaldo, come è uso dei tempi, con Salvatore il druido: che mi racconta del suo forno a legna, del suo manzo sottoterra, e delle robe che lo fanno grande e unico. Metto in moto la moto e vado, con la visiera sollevata in faccia alle zarabighe, nel fresco della notte reggemigliana.
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