La Capanna laggiù, in mezzo al nulla, è quella di Eraclio
Hai gli gli occhi lucidi solo a guardare quell’insegna, la sera. Un esatto contrario del tutto moderno, del qui e ora: non c’è un “logo” senza il quale sembra sia diventato impossibile condurre una qualsiavoglia attività. Non c’è studio d’immagine, non c’è la corporate ID: un’insegna che dice tutto, in chiaro, senza ambiguità, senza retropensieri, La Capanna, Osteria con uso di cucina. Una scritta, che illuminata di taglio, spiazza il rettifilo delle infinite strade della bassa ferrarese, dove il Fiume scava le sue pieghe.
E priva di ambiguità la cucina di Maria Grazia Soncini, cuoca vera, che manda in tavola l’intorno della sua Capanna senza artifizio alcuno anche se lei stessa artefice lo è, eccome. Modernissima nel suo essere senza tempo, la cucina della Capanna mette d’accordo il colto e l’inclita con sprazzi di memoria e fulgidi esempi di racconto del territorio.
E poi impari: impari i rossetti, i giottoli, i caciaroli, la cucina di valle, l’anguilla. Impari le moeche al loro meglio, impari il pesce bollito, le uova dei moli (le avevi mai sentite?). Tutto governato con un tocco preciso e misurato. I fritti come nuvole, le salse come pennellate, l’ingrediente nella sua integrità. E attorno, il benvolere carezzevole degli uomini di sala. Non una cucina incendiaria, ma una cucina incendiata dal fuoco della passione quotidiana, della furia produttiva, delle ore a stancare l'orologio.
“Perchè a me piace stare in cucina” dice, quando dopo il servizio durante il quale non ci concede alcuna distrazione si ferma in mezzo al bancone a salutare.
La mattina dopo c’è nebbia, nebbia fitta, nebbia da appoggiarci la bicicletta: ma è l’aria di quaggiù che ha quel profumo glacido e lanoso, e non vorresti fosse altrimenti.
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