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Prosecco come non mai, Vecchie Uve di Bele Casel

Ricevo una lettera di carta, scritta a mano. È bella: racconta di un'azzardo, di un'impresa. quella di fare - ancora una volta - un Prosecco diverso. La testardaggine di un'azienda, di una famiglia che dopo essersi inerpicata sulle vie impervie del Colfòndo oggi scrive una pagina alternativa allo spumante da sbevazzare senza arte nè parte come frettolosamente viene liquidato, e non senza una buona dose di ragione.

Allora si parte - come sempre e come dev'essere - dalla vigna. I Ferraro scavano nell'ampelografia di Monfumo, uno dei luoghi "eroici" della viticoltura locale, e ritrovano vecchie piante di varietà dimenticate. Glera, sì. ma Rabbiosa, Bianchetta Trevigiana, Marzemina Bianca, Perera. Prove e riprove, vinificazioni separate, assemblaggi, assaggi. Poi la '16 pare quella buona e finisce in bottiglia dopo lunga attesa, dosaggio zero, in proporzione alla filiera produttiva del Prosecco: un anno sulle fecce, un anno nei grandi recipienti d'acciaio, un anno in vetro. 3381 flaconi di questo che si palesa come una novità deflagrante.

Vecchie Uve spumeggia screanzato presentandosi per quello che é: uno spartiacque tra il modo di fare il il Prosecco che si sa e la frontiera. Un profumo delicato, cesellato su una partitura finissima di mele verdi, di torta di mele, un vago sospiro di menta, qualche erbaggio piu rustico, e una brezza fredda che tutto l'attraversa.
Ma è il sorso che spinge tellurismi nell’idea stessa di Prosecco rassicurante, divanettoso e prevedibile: secco, sapido, amaricante, privo di indulgenze zuccherose, delicatamente schietto, schiettamente diritto fino al finale che lontano si quieta.

Raramente è concesso di entusiasmarci per un Prosecco, ma questa volta ebbene si.