Sotto i sassi, alle Guglie di Guiglia.
Fossimo altrove, le guglie del Parco di Roccamalatina avrebbero un'uscita autostradale dedicata. Invece siamo nell'Emilia Centrale, a cui si stenta a riconoscere uno status perpetuo di extra ordinaria bellezza naturale, e allora bisogna andarseli a cercare, i Sassi. Ma vero è che il nostro Paese è talmente ricco di robe immense che non basta una vita.
È dunque colpa di "Steve" Malagoli che mi dice Ti porto in un posto che salgo con la moto lungo la tortuosa strada che da Guiglia va verso Sud e verso Su: e già Guiglia un viaggio lo meriterebbe, fosse solo per Borlenghi e Rocca. Invece proseguo un po' affannato perchè sono in ritardo: ovviamente proprio oggi il Navi della Rombante ha deciso di piantarmi in asso, e fatico a imbroccare i crocevia giusti. Poi compaiono i primi cartelli e mi rassereno: solo un po', perchè il vialetto di ingresso di Sotto i sassi ha qualche pendenza e qualche disconnessione in più rispetto alle mie (indegne) competenze motociclistiche. Ma la Rombante fa il suo e mi porta a destinazione: sotto il Solleone che pare di aver fatto la doccia, pur con la giacca mezza aperta.
Il sole è forte e fa strizzare gli occhi, ma il luogo è di fascino assoluto: in parte i Sassi, una verticale vertiginosa che si staglia in mezzo alla verzura, di un verde abbagliante. Steve mi aspetta con indulgenza non ostante il ritardo, e non mi da nemmeno troppo di sopracciglio. Del resto questo è il luogo del tempo perduto e ritrovato, e quindi conviene slacciare le briglie.
Poco più su attendono Matteo e Fiorenza, che qui hanno lavorato sodo per mettere trasformare un luogo del cuore in una perla d'accoglienza: respiro di sollievo quando realizzo che nessuna concessione è stata fatta alla retorica rural agrituristica. Nessuna spiga secca alle pareti, nessun falcetto rugginoso, nessuna antica madia della vecchia nonna. Se parlare di nonnismo si può, qui, è solo perchè il Borgo ne riporta quasi intatte le sensazioni, con le costruzioni in aderenza, le architetture spontanee, gli spigoli giù di squadro.
I Nostri hanno deciso di aggiuggere alla loro Casa, già abbondantemente frequentata sopra tutto da stranieri in cerca di verità e silenzio, un ristorante temporaneo per esplorare l'altra metà del cielo dell'accoglienza. E lo fanno con una certa dose d'incoscienza, ma anche con la determinazione necessaria e alleggerita di chi sa che sta spingendosi su itinerari sconosciuti ma con ottime guide. In cucina infatti evoluisce Simonetta Garelli, una cuciniera che si porta dietro un bagaglio trasversale e ricco di sincretismi. Così come la cantina rispecchia scelte di rara coerenza: piccoli produttori, vini sinceri, poco spazio al mainstream.
Dietro al progetto c'è il background di Matteo e Fiorenza, tutto orientato a settori in cui lo stile è sostanza, la forma è sostanza l'essere è sostanza: e qui il tocco è sempre leggero ma tratteggiato dalla presenza ubiqua di un raro buon gusto. Le pennellate sono come velature che passano lievi come i racconti di Matteo, che ha fatto in tempo - non ostante non sia certo Matusalemme - a vedere il Borgo quando era espressione schiettamente rurale, e sopravviveva con la coltivazione di una manciata di ettari scomodi e scoscesi nei dintorni.
Dunque tra chiacchiere e fresche frasche scorre la cucina della Chef: non raramente ricamata con cura attorno a ingredienti scelti, spesso trafitta da sapienze e tecniche raffinate. Garbate lo porzioni, come vorrenti ovunque che abbondanza non fa rima con rilevanza, e fini le guarniture: di salse, di vegetali, di fondi, di creme. Più melodie che sobbalzi, nel senso di una pregevole linearità di colori, di un apprezzato rigore, di una correttezza formale che t'aspetti altrove.
In fondo: una sorpresa nella sorpresa. La bontà nella bellezza, e non son patate.
Matteo dice che il Temporary veleggerà sicuro fino a dopo l'estate. Suggerimento non richiesto: approfittarne, subito, per una gita nella gita.
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