Yard, veronese senza limiti
Percorro pochi passi per raggiungere Yard in questa Verona splendidamente scolpita da un luminoso ed inconsueto sole invernale, con le scenografie che esplodono dagli angoli della visuale: Piazza Bra e l'Arena, e poi il Liston, un paio di vicoli in ombra, e poi l'ampio fuoriscala del Corso. Palazzi signorili, anfratti umbratili, edifizi di culto, poche auto, una prospettiva centrale da far invidia alle botteghe di pittura del tardo Rinascimento. E poi la vasta teoria di critalli del ristorante, luminoso e felpato all'interno.
Ti senti dentro e fuori, seduto in una delle grandi vetrate: protetto ed esposto allo stesso tempo. Il risultato è la sensazione di essere in giardino senza essere in giardino, complice l'effluvio di piante a foglia all'interno.
Ordini, dopo esserti preso non meno di qualche minuto per comprendere le sfaccettature di un menu curvilineo, e provi ad appoggiarti a un paio di classici: l'amatrice rassicurante, cacio pepe e gamberi più lanciata, fish and chips con la triglia da protagonista. Non andartene senza aver fumato un sigaro, ma di cioccolato e namelaka, fin troppo opulento per un fine pasto, ma godèvole senza meno. Curioso l'avvicendarsi di proposte di varia italianità con il sushi, e altro, in un vortice intrigante e spiazzante nello stesso tempo.
Sosta decompressa in luogo ameno. Non poco, in somma.
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