Franceschetta, emilianissima tavola.
Dire qualcosa di nuovo su Massimo Bottura è diventata opera impervia. Il vulcanico chef modenese infatti ormai più che un ristoratore è una multinazionale del gusto, multiforme e immanente nel panorama del paesello.
Non è certo dunque una scoperta rivelare il talento di Bottura come talent scout: sono innumeri i nome di giovani cuochi che hanno guadagnato la ribalta alla luce di una formazione di valore letteralmente inestimabile: scuola, pensiero, invenzione.
Ecco allora che il progetto Franceschetta58, la seconda insegna in Modena dell’universo Francescana, affidato alle giovani ma già navigate mani dell’emilianissimo Francesco Vincenzi svolge un tema che richiama nell’uso e nelle consuetudini il vocabolario botturiano con una nuance del tutto a parte.
Entrando la sala stretta e lunga - se fossimo ancora negli anni ’70 l’avremmo vista fumosa e calda, così affollata di genti - ti può capitare un “Ciao vecchio!” tra capo e collo dal deus ex machina, passato di lì per un meritato ristoro, e trovare un posto ai tavoli “parigini”.
Peschi dal menu, dove trovi una versione dell’Emilia che non puoi non amare per le sue espressioni così poco inclini alla retorica nonnista, e così vibratamente contemporanee, pur nel rispetto di una novellistica popolare ben modellata al punto di attrarre, sedurre e infine travolgere.
Fosse solo per l’alluvionale tortellino con la crema di latte, che spazza via le incertezze dei più sopraccigliuti integralisti lasciando solo i difensori della fede a difendere il “rigorosamente in brodo” come l’ultimo soldato giapponese nella giungla, o per l'Emiliaburger che è un’altrettanto irriverente fotografia di cosa può essere il panino con dentro la meraviglia, il cotechino e una salsa verde filologica; fosse solo per il corroborante cotechino in crosta, un Wellington eretico e screanzato: ma giungono anche inserti di pura seduzione come il porcino, il broccolo arrosto, o l’inusitata lingua che sola, vale il viaggio.
Non già una piccola Francescana, non ostante il vezzeggiativo al nome: ma un’architettura “alla maniera della” - fatta di professionalità, ricerca, e piacere in una confezione particolarmente accessibile e incline alla confortevolezza.
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