Guidi: perchè Magenes è Antica.
Tutto comincia in una notte del 1821. O forse era qualche anno più tardi: esistevano già le automobili, il Nokia Communicator e i topless in TV. Non esistevano ancora le pizzerie gurmè, credo, e i foodblogger dovevano ancora spiegare cosa fosse un foodblogger. In quei tempi - assai meno racchi di questi - mi aggiravo per le pianure a Sud di Milano quando incocciai in questa insegna, Antica Osteria Magenes. C'era gente, quella sera, e tavoli piuttosto fitti, e la mamma in cucina e un cuoco a fianco: si trattava - scoprii - di un esercizio che agiva in Barate (di Gaggiano, abitanti 32) da più di un secolo emmezzo: con varie configurazioni. Layout, direbbero ora quelli bravi. Locanda, macelleria, osteria, di tutto un po' come accadeva nei tempi e nei paesi.
Fu una bella serata: piatti curati, di stampo territoriale, robe interessanti in cantina, una certa gioia nel ristorare. Non sapevo nulla di quella famiglia, che mi capitò di vedere e rivedere molte altre volte, nel loro fare camaleontico, fino alla verisone attuale: una parte di glamour, una parte di landa milanesiana, una parte di familiarità, una parte di devozione.
Dario e Diego Guidi hanno devoluto la loro vita alla causa di Magenes: la mamma è ancora in cucina, ma le danze le mena il baffo ritorto di Dario, mentre in sala evoluisce con una certa allure alla Marlon Brando un po' meno truce il Diego.
Cosa succede a Magenes oggi? C'è Milano, senza nonnismi nè genuflessioni alla retorica tradizionalista. Ma c'è anche una giocosa inventiva che si tramuta in piatti e piattini dai colori forti e dalle scelte assai poco cerchiobottiste. Se ti guidano i Guidi - il gioco di parole è un po' telefonato, ma lo meditavo da tempo - può accadere di tutto.
Dario in un'altra esistenza doveva essere gioielliere, o cesellatore di materie preziose: il gusto per il dettaglio è così vivace da tramutarsi esso stesso in un ingrediente. Diego probabilmente in una vita precedente faceva il passatore, per quel suo infaticabile ricercare cose insolite, praticabili, che inoculino nell'abbinamento il gusto dell'inusuale.
Per entrambi vale insomma la regola della cucina teatrale, l'amore per la sorpresa, per il giuoco e un vago gusto per l'acrobazia. La compiacenza è più verso l'indagine dell'ingrediente impervio (l'anguilla) o così abusato da diventare luogo comune (spaghetto al burro) per trasformarli in un sentiero inedito. C'è un solo soggetto indesiderato a queste latitudini, e che dunque non trova mai tavoli liberi: il compromesso.
Fa bene andare a cena presto, così accoccolato nel jardin d'hiver, di nuovo rinnovato: vedi scemare la luce dal crepuscolo alla notte accompagnando le diverse composizioni dalle sfumature delicate degli snack ai colori forti e i contrasti intensi delle pietanze. Fa bene lasciarsi viziare da una attenzione al tavolo che non è mai affettata, mai adesiva.
Fa bene fermarsi a far di chiacchiera ora con l'uno ora con l'altro dei Guidi e parlare di come Magenes si fa trovare, qui nel centro del Paese del Nulla: a ranghi compatti, tavoli occupati e facce larghe e liete. Che alla fine, in questi tempi assai più racchi, molto importa di questo oltre al resto.
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