Ilde, il nome epico della leggenda
Ne aveva 87 la Ilde Urbinati, e 65 li aveva passati nel chioschetto di Covignano a schiacciare piade per genti innumeri. E lustro dopo lustro il Baretto aveva assunto i caratteri sfumati del mito, con il suo pergolato e il suo reggimento di ragazzi e ragazze che a passo di carica raccoglievano ordini, spargevano birre & bibite, chiamavano ordini ed elargivano sorrisi e comandamenti.
E la Ilde là dietro, caldo vento o tempesta, a folgorare piade sulle lastre roventi. Sempre se stessa e mai uguale, che qui davvero la regola è che ogni pezzo è unico e irripetibile e perfetto, come opere d’alto artigianato.
Racconto bislacco questo, che unisce il tempo passato al tempo presente: perché la Ilde è passata via da pochi giorni, ma il Baretto è ancora lì a spargere piade e ripieni e birre e bibite, con le sue tovaglie e le sue sedie di un fulminante verde acido e le sue ombre frammentarie, e la sua calura e il suo affollamento.
Il Bar Ilde – sottotitolo: il Baretto della Buona Piadina – sta a Covignano, Rimini. Alle spalle della città verso la collina, Covignano alligna di già nel comune di Santarcangelo ed è tutto un fiorire di riferimenti antichi, antichissimi o solo vecchi, e il mito e la leggenda si intersecano con la storia: Galvanina fonte termale era già apprezzata dai Romani Antichi, che qui coltivavano le loro mollezze, e fin dal primo ‘900 brillava delle sue reclàme delicatamente “decò”. Qui Villa Buzzi aggetta con muri di pietra a vista e laterizi a mano e la famosa “stipe” votiva, testimonianza di un’epoca davvero multiculturale già parecchi secoli prima della nostra era.
E dunque il Baretto, la Ilde? Si potrebbe questa emergenza – come chiamano i ritrovamenti gli archeologi – identificare con la consunta triade tradizione e innovazione nel rispetto del territorio, ma il viaggiatore che qui si ferma a ristorarsi questo clima di universo condensato lo avverte appieno. La piada della Ilde è la versione riminese del disco di pasta romagnolo, ma sui generis: spessotta ma leggermente sfogliata, densa ma non mattonata, con impasti consueti e integrali. E dentro millanta robe, dalle più prevedibili – prosciutto, squacquerone, rucola – a combinazioni temibili: assaggiata quella con la ventricina e il gorgonzola, presto abbandonati a un empito di lussuria pura, mai più perduta. E poi birre del riminese, al flacone o alla spina, e poi e poi e poi.
Occhio alla folla, che può diventare esuberante, tanto che c’è una barriera all’ingresso: un paio di virago fitte d’occhiatacce, in maglietta gialla griffata Bar Ilde, vi interrogheranno sulle vostre preferenze (smoking or not) e vi condurranno al tavolo che non sceglierete. Ma è ben poco prezzo per addentare il mito e la leggenda, la Romagna riminese e non solo nella sua interezza. In fondo una preziosa sfumatura di italianità di cui conviene andare orgogliosi, come una Venere di Botticelli qualsiasi.
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