Io Taglienti, a Piacenza
Il complesso della Basilica di Sant’Agostino a Piacenza è grandioso. Il corpo di fabbrica della chiesa, di origine cinquecentesca, colpisce per l’ardita architettura a cinque navate, per la grande facciata rientrata dal pavimento stradale, per i volumi vertiginosi e per gli spazi ariosi.
Ha una storia tumultuosa: sottratto al culto dopo un paio di secoli fu destinato all’utilizzo militare, con varie vicissitudini, con numerosi passaggi di mano. Fu durante queste seconde e terze vite dell’edificio che venne annessa alla chieda una falegnameria: seppur d’umile destino, di eleganti proporzioni e splendida collocazione, racchiusa sotto un notevole soffitto a capriate. Oggi ricostruito, con una ristrutturazione attenta, funzionale ma in fondo rispettosa, e convertito a locale conviviale.
Negli spazi della chiesa collezioni d’arte e di design, in un crescendo di raffinate intersezioni tra il bello e il funzionale, in cui il locale in cui Luigi Taglienti ha costruito la sua nuova proposta appare come la naturale prosecuzione: spirito e corpo.
L’altissimo chef, immacolata la divisa, si fa incontro accompagnando i vassoi con i piatti che deposita con cura sui tavoli da pranzo. Li racconta, con evidente partecipazione. Gli chiedo come mai qui, a Piacenza. Lui s’erge in tutti i suoi tre metri di altitudine e abbracciando con un gesto il luogo mi dice Ma hai visto? Non potevo perdermelo.
Ha ragione: qui la bellezza governa. Ed è una bellezza che pervade anche i piatti della cucina che fin dai piccoli tocchi d’aperitivo esprimono la cifra pittorica di Taglienti. Frammenti, ognuno dei quali realizzati su una linea mirabile d’equilibrio tra elementi compatibili solo nell’alieno mondo sensoriale dello chef che benignamente ce li mette a disposizione.
Senza troppi divisionismi intellettuali dalla banana maritata alla coppa piacentina, al fico con l’erbetta alla pesca nettarina. È l’antifona di quello che accadrà dopo: il vocabolario larghissimo, la tecnica granitica, lo sguardo illuminato sulla classicità sono tutti i riferimenti ai quali il goloso, l’appassionato o il curioso possono aggrapparsi per farsi inebriare da un fuagrà folgorato da una riduzione di cassoeula e salsa d’ostrica, da un risotto mirabilmente nascosto dalla salsa albufera più vera che si possa assaggiare, le spugnole e il caffè, l’epica lasagna alla Taglienti, che ha consegnato più di una nonna a memorie affettuose.
Una concretezza che si staglia senza increspature, e puoi solo dire Viva!
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