Naan
Per chi ha un minimo di interesse al tema, parlare di cucina indiana è come parlare di cucina europea. O di "cucina cinese" quando ormai anche le piante sanno che ne esitono almeno 8.
La travolgente varietà delle preparazioni del subcontinente diventa un labirinto se ci si addentra nella nomenclatura: e un solo mese di vita da globetrotter non è certo sufficiente se non a tracciarne i più rilevanti confini.
Il pane in India infatti è per la stragrande maggioranza dei casi un "flatbread" - pane piatto - che cresce per la sua capacità di combinare aria e grassi all'interbo di una struttura creata ad arte, come nel chapati e nel roti, o nel paratha, oppure con un minimo di fermentazione come nel naan. Sebbene anche quest'ultimo si trovi in entrambe le versioni, con e senza lievito, in entrambi i casi è capace di dare notevolissime soddisfazioni, sia in congiunzione con dahl e biryani sia in contaminazione con le meraviglie locali.
Lo prepariamo a partire dallo yogurt magro senza zucchero, circa 150g, e una punta di lievito in polvere (puoi provare anche completamente senza o con un frammento poco piu che simbolico di lievito di birra) impastati con 250/300 g di farina, una presa di sale e un cucchiaio d'olio. Al termine dell'impasto un bel riposo di un paio d'ore farà giuoco: poi faremo delle palline da 100g e le stenderemo con il mattarello fino ad ottenere dei dischi di 20, 22cm di diametro.
Passiamo la sfoglia così ottenuta su una padella appena unta con uno straccio e attendiamo che si "muova"....: la giriamo velocemente e la guardiamo gonfiarsi. Ripetiamo l'operazione un paio di volte e togliamo dal fuoco.
Terminiamo l'impasto e portiamo in tavola: farciremo con coppa piacentina DOP, e per analogia nel bicchiere mettiamo Malvasia dei Colli Piacentini.
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