Josko e la Ribolla del 15.
La mattinata è grigia, ma un pezzo di sole sta facendosi largo a illuminare Lenzuolo Bianco a Oslavia. Per questo Josko mugugna: sperava, vista la pioggerellina fine fine del giorno prima, di portare a casa 50mm d’acqua. “Qui non ci possiamo lamentare, dice, perchè è sempre bagnato, non abbiamo sofferto. Ma una bella pioggia generosa e durevole avrebbe sistemato bene le terrazze nuove.”
Ha fatto altri piccoli lavori, Josko, nella vigna vicino a casa, e si cruccia perchè non sono ancora proprio come vuole lui. “Tanto qui ormai abbiamo solo vendemmie difficili, ma che ci vuoi fare, questo abbiamo”.
Facciamo di chiacchiera, sul grande tavolo della cucina campeggia una Bottiglia. È la Ribolla 2015, che dopo i 7 anni previsti dal “Piano Gravner” sta per solcare i mari e le terre. “Magari ci viene qualche idea”, lo scherzo, ma non abbocca. “Che idee vuoi che ci vengano!” Io ne ho già un paio, tra poco le altre arriveranno tra poco, con il tappo liberato dal suo abitino di vetro.
“Assaggia l’ossocollo” dice, proponendomi una burrosa versione di capocollo dal tratto poderoso e dal grasso più vicino al burro che al lardo. Guardo con occhi concupiscente la bottiglia e ne verso un dito nei bicchieri a coppa che Josko ha commissionato a Massimo Lunardon già da più di un decennio. “Duemilaquindici annata tranquilla”, dice Josko, ma perchè appare dalle sue parole, anzi dalle non parole, che non si cruccia troppo, accoglie la variabilità con umore fatalista. Più che altro cerca il meglio in ciò cha accade, accogliendo gli inconvenienti come elementi del racconto e della storia con i quali fare i conti.
Il colore è quello che conosciamo: il profumo ha le sfumature ormai consolidateella rarefatta memoria, ma la R15 le interopreta in modo fine e ben tracciato. Il bicchiere vuoto poi ci racconterà una storia lineare, nell’abbraccio di un carattere definito e perfettamente inscritto nel modo di Gravner. “Prendi una fetta di pancetta cotta, non vorrai che lasciamo solo il colesterolo..” È il maiale Mangalica, quello che Josko da anni ama (e alleva), è il maiale Mangalica che accompagna il sorso, introdotto da un ingresso meno imperioso dell’annata precedente e un seguito più gentile e tondo. Senza che i tratti più famosi ne vengano stravolti. “È un bel flacone” dico, e ricevo in cambio uno sguardo attraversato da riflessi decisi.
“Posso capire se qualcuno mi dice che non gli piace, ma non può dire che non è buono”.
Per Josko l’Italico è il secondo linguaggio, e lo usa con parsimonia eastrema, abbandonando l’aggettivazione che percola da molti scritti di vino. Nel suo ritirato modo di dire: ho messo in bottiglia la natura, la natura è buona!
Il bichierre a coppa è ormai vuoto, e slancia gli ultimi barbagli: di miele, di alboccche conservate.Ce ne sarà da dire su questa venti-quindici!
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