La Malvasia di Damijan
Damijan Podversic più che un vignaiuolo è un evento naturale. Il suo saluto è un'esplosione: di energia, di sguardi roventi, di manate. Di lontano t'aggancia con gl'occhi e si avvicina a passo di carica, ti appioppa un fendende su una spalla come se dovesse ogni volta abbattere una roverella e ti mette in mano un tagliere del trentadue, che solo dopo un po' to accorgi che è la sua mano: secca, asciutta, ferma. Stringe appena, ma a lungo, e ti parla con quella parlata reboante, un rotolìo di botti, un rintoccare di campane tubolari, un risuonare di flicorni.
Damijan t'inonda di aneddoti, come gli innamorati che avvertono l'urgneza di racconatrti le ragioni del loro amore. E Damijan innamorato lo è davvero, del fare-di-vino. La sua vita è un intorno del vino, e non si cura di dissimularlo. Anzi lo rende palese. Squillante.
Ti lasci stordire dall'andare del suo racconto: e poi certo ci sono i vini. La Malvasia 15, per dire: uno schiaffo bruciante al dogma della macerazione che livella il vitigno. Profuma diritto e trionfale nel suo spirto Malvasico, scodando l'aroma con forza. Le frutta nel cestino di vimini ti portano al sorso elettrico, tirato e profondo. Il colore che persuade, la via che convince, il finale che inebria.
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